
Di Maschere e Alleati
Strano come funziona la nostra consapevolezza. Capita che ci accorgiamo dell’esistenza di qualcosa – il più delle volte non volontariamente ma magari perché ci abbiamo sbattuto il naso contro – e allora (complice quel persistente dolore al naso) iniziamo a vedere, a leggere, a subodorarne la presenza dappertutto. Ma quella cosa è sempre stata lì: noi dov’eravamo prima? Mi succede così da quando sono diventata antispecista e vegana; e prima cos’ero? Messo per iscritto ha tutta la ridicolaggine delle conversioni, come se uno potesse cambiare il senso e l’asse del suo mondo come si cambia d’abito. Comunque sto divagando. Dicevo che da quando sono diventata (sic) antispecista e (quindi) vegana, mi sembra di essere finita nella tana del bianconiglio, in una spirale di libri da leggere, pensieri nuovi che ti attraversano e, soprattutto, forme di vita (meglio, vite singole) da cui farsi meravigliare.
Per dire, qualche giorno fa leggevo un saggio1di Melanie Joy (autrice del più famoso Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche, sulla psicologia del mangiar carne) in cui l’autrice si concentra (terzo capitolo) sul cortocircuito comunicativo che si innesca spessissimo tra vegani e onnivori, per cui il vegano vede l’onnivoro come un emulatore di Hannibal the Cannibal e, viceversa, l’onnivoro vede il vegano come un folle estremista abbracciatore di alberi che vuole radere al suolo la società occidentale partendo proprio dai cappelletti della buonanima di sua nonna.
La Joy ha un approccio molto laico (dettato dall’urgenza, non dal cinismo): consiglia di non cercare conversioni ma di farsi degli alleati2. Detto altrimenti, nessuno diventerà vegano perché voi gli dite che anche le mucche soffrono, così come si spera nessuno tornerà a mangiare carne perché gli si dice che il prosciutto è tanto buono. Entrambe le parti possono però impegnarsi a creare una relazione di autentica connessione, uno spazio virtuale e fisico dove entrambi possono sentirsi sicuri e rispettati. L’alleato (vale per ogni genere di relazione asimmetrica3) sa vestire i panni dell’altro, capire la sua sensibilità e agire di conseguenza. Detto niente no?

Gli americani, si sa, a volte la fanno un pelo troppo facile (gli psicologi americani in particolare). E quale sarà mai il problema? Vengo e mi spiego: per ricercare alleati nelle nostre vite dovremmo mostrarci vulnerabili, esplicitare cosa ci fa soffrire, cosa ci smuove, smettere la maschera e chiedere all’altro di abbassarla pure lui. Abbiamo sedimentato dei ruoli (figlio, madre, padre, amante, responsabile, sognatore, pragmatico … ). Non vestiamo i panni di un personaggio per nulla: saranno scomodi, scoloriti e puzzolenti ma non sta bene andare in giro nudi. È per questo4 il cambiamento, piccolo o grande che sia, ci spaventa. Se io cambio, la mia famiglia, i miei amici, il mio compagno mi riconosceranno? Se altero i miei angoli, questi si incastreranno ancora con il puzzle dei miei affetti? Quando torno a casa troverò ancora qualcuno ad aspettarmi?5 Ma se difendiamo la nostra maschera con le unghie e con i denti, a che pro questo tanto decantato dono del linguaggio? Cosa avremo poi da dirci se ogni scambio è una commedia già scritta?
Sarà la mia tendenza a divagare (e il mio amore per i cantautori) ma mi viene in mente una ballata di Dylan, A Hard Rain’s A-Gonna Fall. C’è questo figlio disgraziato, una vittima del suo stesso personaggio, un giramondo impenitente, torna da sua madre che gli chiede “dove sei stato figlio mio dagli occhi blu, cosa hai visto, cosa hai sentito, chi hai incontrato?” E lui ne ha viste di tutti i colori. Cose meravigliose e cose terribili. Più terribili che meravigliose. E racconta. Ogni verso è una poesia della vita offesa, con qualche occasionale, struggente brandello di speranza. Andatevela a sentire. Soffermatevi su ogni strofa, guardate con i suoi occhi, sentite con le sue orecchie, patite con lui. Alla fine la madre chiede: “che cosa farai ora, figlio mio dagli occhi blu?” E lui, con un piede fuori dalla porta:

sto uscendo fuori di nuovo prima che la pioggia torni a cadere
Bob Dylan, A Hard Rain’s A Gonna Fall
e camminerò fino alla profondità della più profonda foresta nera…
dove la fame è brutta e le anime sono dimenticate…
e lo dirò (tutto quello che ho visto) e lo penserò e lo declamerò e lo respirerò
e lo rifletterò dall’alto delle montagne così che ogni anima possa vederlo…
A me sembra che il sottotesto sia: se no mamma, cosa ti racconterò la prossima volta? Se avessi tenuto la maschera e fossi stato solo tuo figlio cosa avrei visto? E se tu fossi stata solo mia madre mi avresti ascoltato? Non ci avremmo perso entrambi?
- Melanie Joy, Beyond Beliefs: A Guide to Improving Relationships and Communication for Vegans, Vegetarians, and Meat Eaters. [↩]
- https://www.veganadvocacy.org/e10-vegan-allies – La Joy parla esplicitamente di “vegan allies”, ma il concetto di alleanza (che mi pare si possa dire essere un’estensione di quello di rispetto) può declinarsi in ogni problematica di relazione (in particolare tra un esponente di una minoranza e uno della maggioranza). Gli allies idealmente dovrebbero anche essere advocates, persone che supportano e promuovono la causa anche se non ne applicano ogni principio alla loro condotta. [↩]
- E quale relazione non lo è? [↩]
- Non solo per questo ma anche per questo. [↩]
- Come evidenzia la Joy, la non disponibilità al cambiamento e al riconoscimento dell’alterità è solo uno dei problemi che incorrono nella relazione tra vegani e non vegani. [↩]

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