Storie

Bella Ciao

Tutte le genti che passeranno
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
Tutte le genti che passeranno
E mi diranno che bel fior

E questo è il fiore del partigiano
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
E questo è il fiore del partigiano
Morto per la libertà

Bella Ciao

Alla fine della guerra il mio bisnonno era tornato al paese su una camionetta insieme ai rifiuti, persino sua moglie non l’aveva riconosciuto. L’avevano rinchiuso ad Auschwitz perché socialista, un giorno non aveva salutato un caporione e qualche giorno dopo erano venuti a prenderlo. Era sopravvissuto mangiando bucce di patate ma si era giocato la circolazione e gli avevano dovuto poi amputare entrambe le gambe sopra al ginocchio. 

Alla fine della guerra l’altro mio bisnonno, che aveva fatto la campagna di Russia come alpino, era riuscito, neppure lui sapeva dire come, a raggiungere la Francia e con gli unici due amici superstiti si erano messi d’accordo per prendere assieme il treno che li avrebbe riportati a casa. Non so perché ma alla stazione si erano mancati  e ognuno era tornato da solo. Mio nonno non ne parlava volentieri, ma quell’appuntamento mancato sembrava assurgere a simbolo di tutto il suo patire, come se avesse mancato l’appuntamento con se stesso, come se solo insieme ad altri avesse potuto dare un senso all’orrore e solo l’esperienza condivisa potesse alleviare la colpa. 

I due erano consuoceri ma soprattutto amici. Dai due lati della barricata si erano visti e riconosciuti fratelli. In famiglia è rimasta quest’immagine (anche se ormai sono in pochi i vivi che ne sono stati effettivamente testimoni) dell’Alpino grande e grosso che portava il sopravissuto ai campi in braccio come un bambino. Il partigiano di Bella Ciao è morto perché entrambi, la camicia nera e il socialista potessero vivere e cercare assieme un senso.

E noi? Siamo all’altezza del regalo che ci ha fatto quel partigiano che in cambio ha voluto solo un fiore? Lui che aveva la contezza di poter morire da un momento all’altro, non ci direbbe che forse è meglio vivere che sopravvivere? Tornare alla normalità? Normalità? Una realtà in cui siamo normalmente irriflessivi, normalmente anestetizzati e mediamente infelici? È per questo che è morto? Perché noi, ossessionati dal progresso ma terrorizzati dal cambiamento, potessimo cullarci nell’allucinazione di avere davanti un tempo infinito? Non gli dobbiamo forse di essere cittadini più consapevoli, umani più caritatevoli, animali consapevoli della nostra mortalità?

Qui
vivono per sempre
gli occhi che furono chiusi alla luce
perché tutti
li avessero aperti
per sempre
alla luce

Giuseppe Ungaretti, Per i morti della Resistenza

Buona Liberazione a tutti! E occhi aperti!

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